"Sono malato, molto malato". Disse la magra figura che mi stava davanti, seduta su un'antica sedia a dondolo,
accanto al camino. Il signor Howard Phillips Lovecraft mi aveva telefonato in ufficio, a New York. Mi aveva detto che un suo amico, un Certo Robert Erwin Howard, gli aveva fatto il mio nome: Marlowe Spillane,
investigatore privato. E adesso, dopo essermi fatto il viaggio fino a Providence, tra quelle colline che sembrano guardarti, avevo di fronte un uomo malato. Non avrebbe fatto meglio a chiamare un dottore?!
Lovecraft continuò: "Ma la causa della mia malattia è in ciò che ho scoperto, in ciò che conosco... Non mi crederà, ma presto, se accetta il caso, dovrà ricredersi. Vede, signor Spillane, esistono molte cose che
l'uomo non conosce, o che ha preferito dimenticare. Solo antichi libri che è opportuno nascondere ricordano di quando gli Uomini Serpente e gli Abitatori del Profondo abitavano il nostro pianeta, e oscure presenze lo
visitavano scendendo dagli abissi del cielo..." Stavo per andarmene: non volevo continuare ad ascoltare le farneticazioni di un pazzo. Neanche nelle bettole più malfamate di New York avevo mai sentito una storia
così assurda. Dovevo aspettarmelo, del resto: non era un pazzo anche quel poveraccio di Howard? Avevo già ripreso il cappello, quando improvvisamente la mia attenzione fu attirata da uno strano assurdo riflesso che
accompagnava la mia ombra delineata dal fuoco del gigantesco camino... Testo di Maurizio Roveri |