Comune di Livorno Biblioteca Labronica
 
14-18 Anni: Traghetto

Faceva caldo. Non poteva essere diversamente, visto che era agosto inoltrato. Ma la nave non era affollatissima. Il mare era fermo, immobile come un vaso di fiori su un tavolo da cucina.
Blu. Bellissimo, libero. E suo fratello cielo era lassų con le stesse caratteristiche. Contemplavano i loro pesci ed i loro uccelli. E accompagnavano lui dall'altra parte.
Aveva una camicia tipicamente agostana, con figure e colori sgargianti. Quei rossi e blu da valletta televisiva. I capelli corti, come era solito avere in estate, con il gel. Gli occhiali da sole e l'abbronzatura tipica del periodo. Calzoncini corti, quelli della squadra e superga bianche, senza lacci, inseparabili. Ascoltava il rumore dei motori e odorava il salmastro.
Ogni tanto si leccava le labbra e sentiva il sale, il sole, l'estate.
Era salito sul ponte poco dopo la partenza. Aveva visto allontanarsi la costa pian piano, poi aveva cercato una panchina libera. E adesso era lė, la schiena parallela al mare, una felpa sotto la nuca, a cuscino. Il piede sinistro sopra al ginocchio destro. Una strana posizione, da pennichella, ma dietro gli occhiali da sole, gli occhi correvano veloci sulle righe di quel libro.
Ogni tanto si fermava, prendeva la pagina bianca che usava da segnalibro e la matita che teneva all'orecchio e scriveva qualche parola: "L'universo non riesce a offuscarti; denti bianchi; amaca; arpa; Tommaso".
Poi con calma, davanti alla sua macchina da scrivere, le avrebbe plasmate quelle parole, trasformate, gestite e riciclate, uccise per poi ridar loro nuova vita. E cosė sarebbero nati altri pensieri, racconti, poesie. E sulla nave partoriva sempre buone cose.
Eh, le navi!! Cosė pesanti ma cosė capaci di galleggiare. Un po' come i problemi, quelli che non ti fanno mai concludere il respiro e che non ti fanno mai, durante le notti, chiudere tutti e due gli occhi assieme. Proprio come le navi i problemi, cosė pesantemente ingombranti ma sempre a galla, al centro del cranio e della mente.

Testo di Maurizio Roveri

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